Dante i Llull

Jornades d’estudi
21-22 de febrer de 2012
Universitat de Barcelona

Cartell

Programa

Quatre avisos de darrera hora

Resums de les poències

Llengua i literatura segons Dante

Llengua i Literatura segons Llull

 

NOVA RETÒRICA I PRÀCTICA D’ESCRIPTURA

EN RAMON LLULL

Lola Badia

Un simple cop d’ull mostra que les prop de dues-centes seixanta obres de Ramon Llull, escrites en llatí i en romanç, presenten una gran varietat formal i estructural. Hi ha obres en què dominen les figures i la notació algebraica: la més radical és l’ Ars compendiosa inveniendi veritatem , on pràcticament no hi ha prosa expositiva; però també hi ha obres com el Llibre de contemplació en Déu , redactat en una prosa dilatada, amplificada i harmoniosa, que parla a l’intel·lecte però que també convida a l’elevació espiritual i a la pregària. Entre aquests dos extrems hi ha un desplegament impressionant de formes d’escriptura. És el que anomeno la «nova literatura lul·liana». L’adjectiu «nova», aplicat a literatura, és manllevat de l’ús que Llull fa d’aquest terme per designar les seves reformulacions de disciplines tradicionals com l’astronomia, la geometria, la lògica i la retòrica fonamentades en l’Art. El substantiu «literatura» designa la dilatada experiència d’escriptura de Llull, en el benentès que mai no va practicar la literatura com a fi en ella mateixa, sinó que es va servir de l’expressió literària per a la difusió del seu missatge salvífic i la propagació de la seva missió de conversió dels infidels. La nova literatura lul·liana abasta una varietat molt gran de formes expressives: la lírica, la novel·la, l’exemple, el diàleg, l’homilètica, les formes sentencioses. No hi ha dubtes a propòsit de l’ús que en fa Llull: és un ús alternatiu, al servei dels mecanisme de l’Art de Ramon. La literatura és una «ancilla Artis». Des d’un altre punt de vista, però, l’opus literari lul·lià es pot considerar un tot autònom tancat en ell mateix. En aquest tot autònom tancat en ell mateix, destaquen les recurrències, la continuïtat de temes i motius i l’autoreferencialitat.

        En la primera part d’aquesta ponència examinaré breument només dues de les propostes més singulars del repertori lul·lià que il·lustren l’aparent contradicció entre l’esclat de les varietats expressives i la homogeneïtat i el tancament del conjunt de l’obra: el «rams» o ficció al·legòrica dels capítols 352-357 del Llibre de contemplació  i l’autocomentari poètic del Dictat i coment de Ramon . A la segona part de la ponència presentaré una sinopsi dels trets que Llull atribueix a la vella retòrica del trivi, la de l’ Ad Herennium , reformulada segons els principis i les regles de l’Art. La meva intenció és proposar que Llull repensa i reformula la retòrica, la seva «retòrica nova», a partir de la seva pròpia experiència d’escriptura en els gèneres més dispars. Precisament perquè en la seva obra l’escriptura és sempre al servei de la forma òptima de transmissió del missatge, la bellesa de la retòrica respon a aquest mateix principi i els recursos que proporciona a l’escriptura estan regits per unes regles ben precises d’ordre, ciència i caritat. La retòrica nova proporciona instruments per als predicadors que han de treballar en l’homilètica reformada —el sermó lul·lià és un també un gènere «nou»—, però també és útil per a la producció de tota mena de discursos — sermones , en sentit general—: Ramon havia tingut ocasió de comprovar-ho personalment.

NUOVA RETORICA ED ESPERIENZA DI SCRITTURA

IN RAMON LLULL

Lola Badia

Basta un semplice sguardo complessivo per verificare che le circa duecentosessanta opere di Ramon Llull, scritte sia in latino che in volgare, presentano una stupefacente varietà formale e strutturale. In alcune opere predominano le figure e la notazione algebrica: la più radicale è l’ Ars compendiosa inveniendi veritatem , nella quale in pratica non c’è una prosa espositiva. Invece il Llibre de contemplació en Déu  è scritto in una prosa largamente amplificata e armonica, che parlando all’intelletto induce all’elevazione spirituale e alla preghiera. Fra questi due estremi si registra una svariata gamma di forme di scrittura. Si tratta di quella che chiamo la «nuova letteratura lulliana». L’aggettivo «nuova», abbinato a «letteratura», è ripreso dall’uso lulliano di questo termine per designare i rifacimenti di discipline tradizionali, come l’astronomia, la geometria, la logica o la retorica, ristrutturate a partire dal metodo generale per tutte le scienze, l’Arte. Il sostantivo «letteratura» designa la larga esperienza di scrittura di Llull, tenendo conto del fatto che non si esercitò mai dell’espressione letteraria come fine a sé stessa, usandola invece per la diffusione di un messaggio salvifico e per la promozione della conversione degli infedeli. La nuova letteratura lulliana comprende una notevole varietà di forme espressive: la lirica, il romanzo, l’esempio, il dialogo, l’omiletica, le forme sentenziose. Non sussistono dubbi sull’utilizzo di queste forme: esse hanno una funzione alternativa, subordinata sempre all’Arte. La letteratura lul·liana è «ancilla Artis». Da un altro punto di vista, però, l’opus letterario lulliano si può considerare un tutto autonomo, chiuso in sé stesso. In questo tutto autonomo e chiuso in sé stesso spiccano le ricorrenze, la continuità di temi e di motivi e l’autoreferenzialità.

        Nella prima parte di questa relazione esaminerò brevemente soltanto due delle proposte più singolari del repertorio lulliano che illustrano la contraddizione apparente fra la grande varietà delle risorse espressive e l’omegeneità e la chiusura in sé stessa della sua opera: il «rams» o finzione allegorica dei capitoli 352-357 del Llibre de contemplació  i l’autocommento poetico del Dictat i coment de Ramon . Nella seconda parte della relazione presenterò un resonto delle caratteristiche che Llull assegna alla vecchia retorica del trivio, quella dell’ Ad Herennium , ristrutturata secondo i principi e le regole dell’Arte. La mia intenzione è mostrare che Llull ripensa e ristruttura la retorica, la sua «nuova retorica», partendo della sua propria esperienza di scrittura nei generi più svariati. Proprio perché nella sua opera la scrittura dipende sempre dalla forma ottima della trasmissione del messaggio, la bellezza della retorica risponde a questo stesso principio e le risorse per la scrittura che fornisce al lettore dipendono da regole ben precise di ordine, scienza e carità. La nuova retorica fornisce strumenti per i predicatori impegnati a lavorare nell’omiletica ristrutturata da Llull —il sermone lulliano è anch’esso un nuovo genere—, ma è anche utile per la produzione di ogni tipo di discorsi — sermones in senso largo—: Ramon aveva avuto l’occasione di verificarne l’efficacia personalmente.

LA PAROLA CHE SALVA: PER UN RITRATTO DI DANTE

FILOSOFO DEL LINGUAGGIO

Marcello Ciccuto

Vorrei sottoporre a discussione alcuni elementi implicati al percorso seguito da Dante al fine di porsi quale «filosofo» di un parlare e di uno scrivere che passano da un significare tutto terrestre/umano a valori di alta speculazione teologica. Rispetto alle condizioni di oscurità e di difficoltà dello stato di partenza, il «sole nuovo» del volgare fa maturare quella che è stata definita un’economia ontologica dell’esperienza umana, dove la più volte richiamata storicità/attualità del personaggio-Dante diventa il segno di un progetto che, nella forma elevatissima dello stilus tragicus  e della sua retorica, punta ogni cosa sulla riconquista dell’ ordo originalis del dire biblico e teologico. Si configura così il procedere verso la «serietà terribile» dell’impresa della Commedia : fissate ai cardini dei canti ventiseiesimi delle tre cantiche, scopriamo figure e funzioni di personaggi che hanno cercato di «trapassare il segno» del valore cognitivo del linguaggio, rendendolo di volta in volta esemplare di un destino «torto» nel caso di Ulisse, di valori effimeri intenzionalmente «senza grazia» coi poeti provenzali e stilnovistici del Purgatorio , di un eloquio —quello di Adamo— che, assumendo invece a valore storico la mutevolezza delle cose umane, sana la ferita post-babelica aprendo la via al nuovo poeta-teologo che parla e scrive per sostanze perfette, oramai autentico scriba dei .

DANTE GHIBELLINO

Enrico Fenzi

L’intervento vuol seguire il filo delle concezioni in senso lato politiche di Dante, a partire dal giovanile impegno in àmbito comunale che ha la sua espressione teorica più alta nella canzone «Poscia ch’Amor». Questa ideologia guelfa, comunale e di stampo tutto brunettiano entra in crisi nei primi anni d’esilio, e già nel 1304, nel De vulgari eloquentia , è evidente che Dante s’è messo per tutt’altra strada, quella ghibellina. Il passaggio è delicato e ricco di addentellati, ed è mia intenzione mostrare come una delle principali componenti di tale evoluzione sia da cercarsi non solo nelle vicende personali e nella riflessione direttamente politica, ma sia stata determinata anche, e in modo particolare, dai risultati della sua ricerca linguistica che per la prima volta l’ha messo concretamente dinanzi a una realtà culturale italiana che gli era riuscita soprattutto leggibile come ‘principio di realtà’ di una unione politica di fatto inesistente. L’approfondimento delle intuizioni politiche maturate attraverso il De vulgari eloquentia  porta ad una idea dell’Italia e dell’italianità che, proprio per le particolari condizioni del paese, non si chiude nel nazionalismo, ma si radica in una rinnovata idea dell’impero che ritrova le sue radici nella romanità ( Paradiso  VI) e arriva a proporre al presente la grandiosa utopia della monarchia universale ( Monarchia ).

DANTE E LA FILOSOFIA: VINO VECCHIO IN OTRI NUOVI

Gianfranco Fioravanti

E’ convinzione abbastanza diffusa che la formazione filosofica di Dante sia avvenuta tramite manuali e compendi, e questo pienamente in linea con il carattere enciclopedico e divulgativo del Convivio .

        Entrambi i punti sono più che discutibili. Uno studioso come Minio-Paluello ha mostrato che l’Alighieri ha utilizzato direttamente i testi più importanti di Aristotele. Dante stesso nel IV trattato del Convivio  si è presentato come auctor  e non come compilator  ed ha in effetti trattato la quaestio  sulla nobiltà con le stesse modalità e la stessa competenza di un maestro universitario parigino.

        La sua filosofia, per altro, è quella di una generazione precedente, la generazione di Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, autori da Dante citati e ampiamente utilizzati: anche se nel Convivio  appare una volta il termine ‘formalità’ le nuove prospettive aperte da Duns Scoto e da Ockam vi sono assenti. L’Alighieri dunque, padroneggia materiali ‘classici’, solidi, ma già un po’ démodés  La sua grandezza sta però nel riorganizzarli e volgerli verso una direzione del tutto originale. La Filosofia (ovvero coloro che amano disinteressatamente la Sapienza) ha il compito di indicare il vero fine dell’uomo, non solo del singolo, ma anche e soprattutto quello della collettività, e conseguentemente di fornire gli strumenti per un rinnovamento dei rapporti sociali e politici. Esso comincia dalla costruzione e dall’uso di un volgare ‘alto’ capace di sostituire il latino e sarebbe dovuto terminare con la costituzione, intorno ad una rinnovata ‘curia regis’, di una classe dirigente di nobili informata dai ‘philosophica documenta’.

NUOVI STRUMENTI PER PENSARE.

RAMON LLULL E LA FILOSOFIA

Michela Pereira

Intendo assumere come punto di partenza —accanto a un tema centrale del pensiero lulliano, la valorizzazione della combinatoria come ‘strumento’ di applicazione universale per pensare, insegnare, apprendere— l’autoconsapevolezza dell’autore rispetto alla propria posture  intellettuale di laicus  illuminato e l’atteggiamento che egli esplicitamente assume nei confronti della scolastica.

In relazione a questi aspetti, che hanno fatto di Ramon Llull un pensatore generalmente considerato ai margini della tradizione filosofica medievale, mi propongo di mostrare —anche attraverso la selezione di alcune parole-chiave, come novitas , facilitas, brevitas, subtilitas , che ricorrono nelle parti liminari (e non solo) dei testi lulliani— come egli abbia intenzionalmente scelto diversi livelli e modalità di comunicazione; richiamando la pluralità di generi letterari, di lingue di comunicazione e di destinatari delle sue opere, che costituiscono un’importante testimonianza di quell’emergere della ‘filosofia dei laici’ alla fine del Duecento, il cui riconoscimento nella storiografia filosofica recente permette, o addirittura impone, una più articolata contestualizzazione e a una rinnovata valutazione filosofica dell’opera del catalano.

        In quest’ottica sembra di particolare interesse la scrittura del Liber de ascensu et descensu intellectus  (Montpellier 1305) per quel ceto di homines saeculares  i quali «desiderant scientias acquirere et optant, et quia non habent propria uocabula scientiarum nec in principio suum intellectum in acquirendis scientiis nutrierunt, ideo quando uolunt scientias adipisci, introitus est eis ualde difficilis et etiam ualde grauis». Dalla sintetica presentazione dei lineamenti fondamentali di quest’opera si potrà cogliere la visione della filosofia che Ramon Llull ritiene adeguata a un pubblico privo di formazione scolastica ma interessato all’acquisizione del sapere (nel quale forse è anche possibile leggere un riflesso di quella che era stata la sua posizione personale immediatamente dopo la ‘conversione’).

        A conclusione, mi propongo di impostare un confronto fra il modo in cui alcune tematiche filosofiche sono presentate in un testo scritto per fruitori laici, qual è il Liber de ascensu et descensu intellectus , rispetto a un’opera scritta in funzione del dibattito con i magistri  parigini, i Principia philosophiae .

LA GRAMMATICA IN DANTE

Raffaele Pinto

A partire dal Commento  di Tommaso d’Aquino al Periermeneias , e in particolare da un passaggio che sembra aver ispirato la nozione dantesca di «grammatica», questa verrà analizzata —nella Vita Nuova , nel Convivio  e nel De Vulgari Eloquentia — alla luce delle polarità nelle quali è teoricamente produttiva, in un attraversamento dei saperi che ha nella idea di grammatica un costante punto di riferimento concettuale: scritto / parlato, latino / volgare, lingua scolastica / lingua materna, linguaggio artificiale / linguaggio naturale, lingua comune / lingua nazionale, etc.

LA GRAMMATICA LULLIANA DAL TRIVIUM  ALL’ARTE

Elena Pistolesi

Nella produzione lulliana la parola grammatica assume accezioni diverse, che vanno dalla tradizionale identificazione con il latino fino all’argomentata inclusione della disciplina nel sistema artistico. A differenza di quanto accaduto per la retorica e per la logica, cui dedicò due opere dal titolo Rhetorica nova  (1301) e Logica nova  (1303), Lullo non mostra un particolare interesse teorico per questa parte del trivio, almeno fino alle soglie dell’ Ars generalis ultima  (1305-1308). Le definizioni di grammatica  offerte lungo un arco di tempo che va dalla Doctrina pueril  (1274-1276) fino all’ Ars mystica theologiae et philosophiae  del 1309 non si discostano da quella che trova, ad esempio, nell’ Ars brevis  (1308): «grammatica est ars inueniendi modum recte loquendi recteque scribendi». Ciò che cambia sono però il contesto in cui sono inserite, in consonanza con l’evoluzione stessa dell’Arte, e i confini di pertinenza della grammatica rispetto al dominio della retorica. La relazione, dopo aver fornito un quadro delle accezioni del termine, intende esplorare tali confini, poiché il percorso che dal trivio conduce all’Arte non è né immediato né chiaro nei risultati. L’analisi terrà conto dell’ambito della citazione, del lessico adottato in rapporto alla trattatistica coeva e della cronologia delle opere, valorizzando in particolare il periodo 1300-1308 con lo snodo rappresentato dalla Lectura Artis quae intitulatur Brevis practica Tabulae generalis  (1304), testo nel quale la grammatica è detta esplicitamente «scientia» i cui princìpi sono subalternati a quelli dell’Arte.